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Agrofarmaci, decidere senza conoscere può avere conseguenze irreversibili

L’Italia è il primo Paese in Europa sia per superficie agricola biologica, sia per aver adottato la certificazione di qualità per la produzione integrata.  L’Emilia-Romagna poi ha normative ancora più restrittive di quelle nazionali e i nostri agricoltori devono rispettare da tempo regole e protocolli di produzione integrata e biologica tra i più stringenti fra quelli esistenti.

Il presidente di Cia – Agricoltori Italiani Romagna, Danilo Misirocchi, con determinazione afferma: “Stiamo continuando a incentivare il biologico e abbiamo esperienze interessanti di biodinamico. Questo non vuole dire che “il resto è veleno” perché “il resto” è agricoltura integrata e uso della chimica sostenibile, certificata. Nel nostro territorio – con i metodi avanzati di produzione e le raffinate tecnologie dell’agricoltura di precisione esistenti ad oggi – tutto quello che si può fare lo stiamo facendo. L’Unione Europea in merito a questo argomento ragiona come se ci fossero già alternative, che ancora non esistono. Il rischio così è di cancellare repentinamente i benefici sin qui raggiunti con conseguenze irreversibili”.

La riduzione a percentuale dell’utilizzo degli agrofarmaci per chi non si è impegnato in questo percorso come la nostra realtà, è facile. In Romagna, invece, dove l’attenzione a metodi di coltivazione e allevamento sempre meno impattanti è altissima da anni, è comprensibilmente alquanto difficile. I tagli lineari degli agrofarmaci proposti dalla Commissione europea (-50% che può arrivare a -62%) sono obiettivi fissati in maniera arbitraria, senza tenere conto delle conseguenze che generano. Per l’ambiente e il consumatore la situazione non migliora: i prodotti arriveranno da parti del mondo non obbligati a rispettare le stringenti regole qui vigenti; aumenterà la dipendenza dall’estero e il settore verrà smantellato. “Questo approccio fa sì che smetteremo di coltivare alcune produzioni nei nostri territori – sottolinea Misirocchi – In particolare il frutticolo e il vitivinicolo, che caratterizzano in maniera preponderante la nostra agricoltura e il nostro sistema economico, visto l’indotto che generano. Altre colture poi sono a rischio in considerazione del fatto che stiamo affrontando anche le conseguenze del cambiamento climatico”.

Se sono a rischio le produzioni è a rischio la sicurezza alimentare, che la stessa Unione europea vuole garantita: è uno dei pilastri della “sostenibilità” insieme a quello ambientale, economico e sociale e se ne traballa uno, crolla tutto. “Non ci si può nascondere dietro uno slogan – ribadisce Misirocchi – Non può prevalere l’impatto comunicativo, ideologico e propagandistico: queste questioni vanno affrontate basandosi su dati e previsioni della scienza e della ricerca. L’applicazione di questo obiettivo così com’è impostata penalizza le produzioni, i produttori, che da anni investono per la protezione sostenibile delle colture; i consumatori, la popolazione”.  

Misirocchi poi fa un parallelo con “la politica dei no” che ha accompagnato le scelte sull’energia e sul fatto che, considerando l’attuale situazione, oggi qualcuno dice “ce la siamo cercata”. “Col cibo sta succedendo la stessa cosa – spiega Misirocchi – Dimentichiamo l’importanza dell’autosufficienza e ci mettiamo nelle condizioni di dire “ce la siamo cercata”, aprendo la strada ad una maggiore dipendenza dalle importazioni, da Paesi tra l’altro che non applicano le stesse regole produttive restrittive imposte agli agricoltori europei”.

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