Saslà, un’antica varierà recuperata che piace ancora
Claudio Ferri
Anna Maria Manfredini coltiva l’uva da tavola sempre più apprezzata dai consumatori
CASTELLETTO DI SERRAVALLE (Bologna) – Il Chasselas, che per modenesi e bolognesi è ‘Saslà’, sta tornando nelle fruttiere di molte famiglie. Molto diffusa nel Novecento e fino ai primi anni sessanta, questa uva da tavola non è mai scomparsa dopo l’arrivo delle uve pugliesi e siciliane, e qualche filare è rimasto nelle colline bolognesi, area in cui, un tempo, se ne coltivavano grandi volumi. Le origini di questo vitigno bianco sono incerte, anche se probabilmente è originaria del Libano, un’uva che nel tempo si è consolidata in Europa, specialmente in Francia (dove è tutt’ora coltivata e dalla quale viene prodotto vino pregiato) e tantissimo in Svizzera.
A Castelletto di Serravalle, nel bolognese, Anna Maria Manfredini ne coltiva mezzo ettaro, una passione che le è stata trasmessa dal padre che la commercializzava direttamente. “C’è molta manualità nel coltivare questa varietà – spiega – perché la si raccoglie a più riprese, poi va ripulita in azienda dai chicchi deteriorati e dalle impurità. Inizialmente la conferivo ad un commerciante di Bologna – dice – ma ora molti consumatori la vengono a cercare direttamente in azienda”.
Una delle caratteristiche della Saslà, oltre alla dolcezza e al buon sapore, è la serbevolezza. “Si conserva per una ventina di giorni mantenendo inalterate le sue caratteristiche”, aggiunge la Manfredini.
L’uva viene commercializzata in confezioni da 5 chilogrammi e, trattandosi di una varietà da tavola, non rientra nell’obbligo della detenzione di diritti d’impianto. “Già nel 1936 c’era una programmazione produttiva di questi vigneti – ricorda Luigi Vezzalini, agronomo e presidente della associazione culturale Terre di Jacopino che si occupa della valorizzazione dei prodotti del territorio – e solo a Castelletto di Serravalle si coltivavano circa 40 ettari di Saslà. Poi era diffusa anche nei comuni limitrofi, come Bazzano, Monte San Pietro, Monteveglio. Parte di questa uva raggiungeva i mercati del nord Italia, ma anche la Germania, grazie al trasporto per ferrovia con partenza da Vignola. Ora in tutto questo areale, calcolando anche piccole porzioni, si fatica ad arrivare a 10 ettari complessivi”.
Infine, da alcuni anni Terre di Jacopino organizza ai primi di settembre una ‘due giorni’ per conoscere meglio questo prodotto e la sua storia, i suoi impieghi attuali e le prospettive di sviluppo agricole. “Inoltre – conclude Vezzalini – è anche un’occasione per assaporarne il gusto dolce e zuccherino in abbinamento al tradizionale gnocco fritto”.